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Come si procede a ricomporre i pezzi di un persona ferita da tante violenze? Come è solo possibile pensare ad un dopo? Non è facile rispondere a questi arrovellamenti, ma noi di Astrolabio abbiamo cercato di percorrere - sulla scia di una lunga esperienza - una strada precisa: quella della creatività. Metodologia in una certa misura non tradizionale per la costruzione della pace ma proposta sulla scorta della convinzione che si possa reagire alla violenza e alla distruzione solo con qualcosa di costruttivo.
Eppure il nesso non è così immediatamente ovvio. Ad uno scrutinio iniziale la creazione artistica sembra perfino contro-producente in un ambito post-traumatico: non è un atto di mostruosa frivolezza spender quel tempo e quelle energie nelle arti di fronte a tanti altri bisogni urgenti e reali – suonare mentre Roma brucia? Come, concretamente, produrre arte contribuisce a guarire persone lacerate da tremendi ricordi? Per me un momento significativo nel rispondere a queste domande giunse durante un laboratorio creativo espressivo che avevamo organizzato per un gruppo di nostri ospiti.
La creatività è qualcosa che avevo sempre considerato innata negli esseri umani, un elemento fondamentale dell’essere vivi. Benché ammetta che non tutti creino in senso propriamente artistico, ero convinto che in qualunque momento e luogo si senta il bisogno di creare qualcosa. Quindi non riuscivo a rendermi conto come tutta una generazione possa perdere la volontà di creare. Era forse questa un’altra vittima della guerra? Poi ho letto una frase di Johan Galtung - il noto professore norvegese di studi sulla pace - che scriveva che le violenze erodono spesso tre capacità basilari dell’uomo: la nonviolenza, la creatività e l’empatia.
In questi termini, mi divenne più chiaro che la creazione, quale antitesi alla distruzione e quale stimolo che promuove l’armonia anziché il conflitto, ha un ruolo speciale nel processo di costruzione della pace.
Pio Maria Federici